GIULIO DAL LIN
Giulio Dal Lin è Group Head of Lean and Process Innovation presso Carel, specializzato nell’implementazione della filosofia Kaizen e del Lean Thinking. Promuove la cultura del miglioramento continuo e dell’innovazione nei processi aziendali.
Sono un bel po’ di mesi che mi interrogo sul delicato equilibrio tra innovazione graduale e cambiamento radicale nelle organizzazioni. È un tema che emerge costantemente nei miei dialoghi con manager e imprenditori, specialmente in un periodo storico dove la tecnologia sembra imporre ritmi di trasformazione sempre più serrati.
Mi sono chiesta spesso se il miglioramento continuo, tanto caro alla tradizione industriale, possa ancora bastare in un mondo che richiede innovazioni dirompenti. O se, paradossalmente, proprio la ricerca ossessiva del “nuovo” non rischi di paralizzare le aziende, bloccate tra la paura di rimanere indietro e l’incertezza su quale direzione prendere.
Con questi interrogativi in mente, ho incontrato Giulio Dal Lin, Group Head of Lean & Process Innovation Manager. La sua prospettiva è particolarmente interessante perché unisce la metodicità dell’approccio Lean con l’audacia dell’innovazione radicale, incarnando quella sintesi tra kaizen e kaikaku che molte organizzazioni cercano di realizzare.
L’intervista che segue è il risultato di una conversazione che esplora le tensioni creative tra tradizione e cambiamento, tra il comfort delle piccole migliorie e il rischio calcolato delle grandi trasformazioni.
Catherine Marshall
L’innovazione tecnologica accelera a un ritmo senza precedenti, ma le aziende sembrano oscillare tra l’entusiasmo per il futuro e la difficoltà di adattarsi. Lei lavora con metodologie Lean, che prediligono iterazioni rapide e miglioramenti continui. Ma in un mondo in cui l’innovazione è sempre più dirompente, il miglioramento incrementale basta ancora? Oppure rischia di trasformarsi in un ostacolo alla vera trasformazione?
Giulio Dal Lin
Anche in ambito lean esistono due approcci; uno più “incrementale”, basato sul “kaizen” ed uno più dirompente, basato sul concetto di “kaikaku”, proprio di ottica di poter approcciare anche il cambiamento più accelerato e rapido: certo, bisogna organizzarsi perché i due approcci richiedono strategie organizzative differenti.
Catherine Marshall
Interessante. Quindi, se il kaizen garantisce miglioramenti continui e il kaikaku introduce cambiamenti radicali, la sfida sta nel bilanciare questi due approcci. Ma in un contesto di innovazione esponenziale, chi decide quando è il momento di abbandonare il miglioramento incrementale per passare alla trasformazione radicale? E soprattutto, le aziende sono davvero capaci di farlo senza essere travolte dal cambiamento?
Giulio Dal Lin
È importante avere una strategia chiara, fortemente a contatto con il mercato, capace di guidare il “cambio di passo”; sviluppare casi d’uso appropriati, mettendo il valore per il cliente al primo posto è essenziale; a questo poi deve essere legata la capacità di execution veloce ed efficace; le aziende devono essere capaci di esplorare rapidamente per poi consolidare i gains (anche in ottica di apprendimento) e quindi di innovarsi.
Catherine Marshall
Dunque la chiave è la velocità di esecuzione e la capacità di apprendere rapidamente dal mercato. Ma molte aziende, soprattutto quelle più grandi, tendono a impantanarsi nella burocrazia e nei processi decisionali lenti. La realtà è che spesso non è la tecnologia a frenare l’innovazione, ma la cultura aziendale. Come si scardina questa inerzia? E davvero tutte le aziende possono farlo, o alcune sono destinate a rimanere indietro?
Giulio Dal Lin
Bisogna partire leggeri, sperimentando, avendo il coraggio per un periodo transitorio di “derogare alla burocrazia” per scoprire un nuovo modo di lavorare; l’inerzia si scardina con lavoro in team interfunzionali, con chiare challenges e sponsorship dall’alto; sicuramente alcune imprese rimarranno indietro.
Catherine Marshall
Quindi chi governa l’azienda deve essere disposto a mettere in discussione le proprie stesse regole per favorire la sperimentazione. Ma non c’è il rischio che questa fase di “deroga alla burocrazia” crei solo caos? In molte organizzazioni, la struttura è ciò che impedisce il disordine. Come si fa a sperimentare senza perdere il controllo?
Giulio Dal Lin
Va gestito l’ecosistema di sperimentazione. Chiarire il campo di gioco, con le sue regole ed i suoi tempi; vanno definiti chiari criteri di successo e team di persone di fiducia che sperimentino per poi portare risultati concreti, supportati da KPI.
Catherine Marshall
La sperimentazione non è anarchia, ma un sistema con regole precise e misurabili. Ma allora torniamo al punto di partenza: se tutto è regolato da KPI e criteri di successo, come si lascia spazio all’intuizione e alle idee più audaci? La vera innovazione, quella che cambia le regole del gioco, spesso nasce fuori dagli schemi. Come si bilancia metodo e creatività senza soffocare il potenziale rivoluzionario?
Giulio Dal Lin
Le idee più audaci e le intuizioni vanno “sperimentate” e messe a terra, questo per testarle e poterle poi rendere actionable sui processi interni e sul mercato; altrimenti rimangono bellissimi “voli pindarici” che le aziende non si possono permettere e che rischiano di defocalizzare sia il business sia rischiano di far perdere l’entusiasmo delle persone.
Catherine Marshall
Quindi l’innovazione non è solo questione di idee, ma di esecuzione. Se un’intuizione non si traduce in qualcosa di pratico, rischia di diventare solo un esercizio teorico. Ma questo porta a un’ultima riflessione: oggi l’innovazione tecnologica è dominata da giganti con risorse enormi, capaci di testare centinaia di idee contemporaneamente. Le aziende più piccole, con budget e capacità di sperimentazione limitate, possono davvero competere in questa corsa? O il futuro dell’innovazione è destinato a essere monopolizzato da pochi attori?
Giulio Dal Lin
Se si parla di innovazione “tecnologica” in parte sono d’accordo, anche se ci sono moltissime nicchie verticali che non sono ancora state esplorate ed in cui molte aziende e startup di piccole po medie dimensioni possono dire la loro. Se si parla di innovazione in senso lato (organizzativa, di processo, di business) forse paradossalmente le aziende più piccole sono addirittura favorite nella corsa.
Catherine Marshall
Paradossalmente, la vera innovazione potrebbe arrivare non dai giganti tecnologici, ma dalle aziende più piccole, più agili e capaci di reinventarsi rapidamente.Grazie per questa conversazione ricca di spunti. È chiaro che innovare nell’era dell’accelerazione tecnologica non è solo una questione di strumenti, ma soprattutto di mentalità.
Lasciando l’ufficio di Giulio, porto con me una visione dell’innovazione sorprendentemente pragmatica e al tempo stesso audace. Le sue parole hanno ribaltato alcuni luoghi comuni: non sono necessariamente i giganti tecnologici a guidare il cambiamento, ma spesso le realtà più agili e focalizzate. L’innovazione non è questione di risorse infinite per sperimentare, ma di metodo rigoroso unito a una chiara visione strategica.
Nel riascoltare la nostra conversazione, emerge con forza l’idea che il vero vantaggio competitivo non stia nella scelta tra approccio incrementale o dirompente, ma nella capacità di orchestrarli sapientemente, creando quello che Dal Lin chiama un “ecosistema di sperimentazione” governato da regole chiare ma non soffocanti.
È una prospettiva che offre speranza alle piccole e medie imprese, suggerendo che proprio la loro agilità potrebbe rivelarsi decisiva nell’era dell’accelerazione tecnologica. Forse, mi dico tornando alla scrivania, il futuro dell’innovazione non appartiene ai colossi che possono permettersi di testare centinaia di idee contemporaneamente, ma a chi sa bilanciare con saggezza il coraggio di osare e la disciplina di eseguire. È una lezione preziosa per chiunque si interroghi su come guidare il cambiamento senza esserne travolto.