Giornalisti allo specchio. Conversazione con ROberto Bonzio sulla tecnologia e il futuro dell’informazione

ROBERTO BONZIO

Fondatore di “Italiani di Frontiera”, giornalista narratore tra spettacoli e storytelling in grandi eventi. Organizzatore e guida di viaggi d’ispirazione a Silicon Valley.

Quando Roberto Bonzio si è seduto di fronte a me, ho provato una strana sensazione. Essere dall’altra parte del microfono, dopo anni passati a porre domande, mi ha messo in una posizione insolita ma stimolante. Conoscevo bene il suo lavoro come “Giornalista Curioso”, così ama definirsi, e il suo progetto “Italiani di Frontiera” che da anni esplora e racconta il talento italiano nel mondo attraverso storie di innovazione e creatività.

L’incontro è avvenuto in una pasticceria nel centro di Milano, elegante e silenziosa. Roberto, con il suo approccio diretto e al tempo stesso caloroso, ha saputo creare fin da subito un’atmosfera di scambio genuino. Ci siamo confrontati sul giornalismo contemporaneo, sull’impatto dell’Intelligenza Artificiale e su come la tecnologia stia ridefinendo il nostro rapporto con l’informazione. Roberto mi ha sorpresa anche con domande più personali e inattese, portandomi a riflettere sul mio percorso professionale da una prospettiva diversa, più intima. 

Quello che segue è un dialogo che, oltre a toccare temi cruciali del nostro tempo, ha rappresentato per me un’occasione preziosa per fermarmi e osservare, per una volta, il mondo del giornalismo da un’angolazione differente.


Roberto Bonzio
Buona giornata Catherine, felice di questa opportunità. Ho letto il tuo articolo su Wings e il tuo straordinario curriculum nella stampa anglosassone. Pensa che io ho lavorato per Reuters… partiamo dai tuoi studi. Cosa ti ha ispirato, nello scegliere poi il tuo percorso professionale?

Catherine Marshall
Penso che questa sia una delle grandi illusioni del nostro tempo. I social media danno un senso di accesso diretto e senza filtri alla realtà, ma in realtà funzionano attraverso algoritmi che selezionano, amplificano e distorcono le informazioni in base a logiche di engagement, non di verità. La libertà di scegliere cosa leggere non significa automaticamente essere meglio informati.

Il giornalismo professionale non è perfetto, certo, ma ha regole, standard e un processo di verifica che i social non hanno. Un buon giornalista non si limita a riportare informazioni: le contestualizza, le confronta, le verifica. E soprattutto si assume una responsabilità. Se un giornale pubblica una notizia falsa, ne risponde; se un post sui social diffonde una falsità, nella maggior parte dei casi nessuno ne paga le conseguenze, mentre il danno resta.

Il problema è che il giornalismo stesso ha contribuito alla crisi di fiducia: sensazionalismo, superficialità e qualche scandalo hanno dato l’impressione che i media siano solo un altro pezzo del sistema da cui difendersi. Ma la risposta non può essere abbandonare il giornalismo, bensì migliorarlo. Perché senza giornalisti che fanno bene il loro lavoro, la libertà di informarsi diventa solo un’illusione controllata da chi gestisce gli algoritmi.

Roberto Bonzio
D’accordissimo! E con la libera informazione è in pericolo pure la democrazia, se invece di cercare informazioni attendibili si cede all’impatto emotivo dei demagoghi contaballe… Mi interessa molto il tuo impegno nel raccontare storie complesse in modo accessibile. C’è stato uno straordinario studioso italiano, storico dell’economia già docente a Berkeley, capace come pochi di trattare in modo accattivante e pure divertente temi e storie di economia. Poi ha scritto pure un libretto straordinario… sulla stupidità umana! Sai di chi parlo?

Catherine Marshall
Certo, stai parlando di Carlo Maria Cipolla. Uno studioso brillante, capace di raccontare l’economia con una chiarezza e un’ironia straordinarie. Il suo saggio Le leggi fondamentali della stupidità umana è un piccolo capolavoro di sintesi e lucidità. Cipolla analizzava la stupidità non come una questione di intelligenza individuale, ma come un fenomeno sistemico, capace di generare danni enormi proprio perché imprevedibile e sottovalutato.

Questa idea è incredibilmente attuale, soprattutto nel mondo dell’informazione. Se pensiamo alla diffusione delle fake news e alla facilità con cui certe narrazioni manipolano l’opinione pubblica, vediamo all’opera esattamente quel meccanismo: persone che, spesso in buona fede, amplificano contenuti dannosi senza rendersene conto. La disinformazione è pericolosa proprio perché non ha bisogno di un grande piano dietro, basta un sistema che premi l’indignazione più della verifica.

Cipolla aveva una capacità straordinaria di rendere l’economia accessibile senza banalizzarla, ed è esattamente ciò che il giornalismo dovrebbe fare: raccontare il complesso senza perdere rigore, perché senza comprensione non c’è vera libertà di scelta.

Roberto Bonzio
Beh non ci crederai ma… la “M” del suo nome non stava per “Maria” ma se l’era inventata lui, tipo bizzarro… l’aveva inserita solo per distinguersi da altri studiosi che avevano il suo stesso nome! Hai proprio ragione, sulla straordinaria attualità delle sue riflessioni sulla stupidità umana, visto il successo della disinformazione, tra fake news e manipolazioni di cui moltissimi non sono minimamente consapevoli. Ma torniamo al tuo articolo. Hai parlato di una “bacchetta magica” capace di trasformare il modo in cui lavoriamo (e non solo) con una magia che migliora di settimana in settimana e che è già realtà: l’Intelligenza Artificiale generativa. Quali opportunità dobbiamo cogliere, e quali errori evitare, perché potenzi e non svilisca le nostre capacità e i nostri compiti?

Catherine Marshall
Sì, la “M” di Cipolla era un’invenzione, un piccolo tocco eccentrico di un genio capace di prendersi sul serio senza mai cadere nella pesantezza. Un po’ come dovremmo fare con l’Intelligenza Artificiale: guardarla con entusiasmo, ma senza ingenuità.

L’AI generativa è davvero una “bacchetta magica” perché può amplificare enormemente le nostre capacità. Può analizzare enormi quantità di dati in pochi secondi, supportare la creatività, rendere accessibile il sapere in modi prima impensabili. Per il giornalismo, ad esempio, è uno strumento straordinario per la ricerca, la verifica delle fonti, la sintesi di informazioni complesse. Ma proprio come una bacchetta magica, non funziona da sola: serve chi la impugna con consapevolezza.

L’errore più grande sarebbe delegare il nostro pensiero all’AI. Se ci limitiamo a usarla come sostituto invece che come amplificatore, rischiamo di perdere capacità critiche, creatività e persino il senso della realtà. Un altro pericolo è la standardizzazione: se tutti usiamo le stesse macchine per generare contenuti, il rischio è un’informazione omologata, piatta, senza sfumature.

Dobbiamo invece sfruttarla per ciò che sa fare meglio: liberarci da compiti ripetitivi per concentrarci su ciò che è autenticamente umano. Nell’informazione, questo significa più tempo per l’analisi, l’inchiesta, il racconto di storie che un algoritmo non potrebbe mai cogliere nella loro complessità. L’AI può aiutarci a essere più produttivi, ma non deve mai sostituirsi al nostro giudizio. Perché se smettiamo di pensare, nessuna tecnologia potrà salvarci dalla disinformazione, né dalla stupidità di cui parlava Cipolla.

Roberto Bonzio
E non dimentichiamo la bacchetta magica di Topolino in “L’apprendista stregone”, che gli sfugge completamente di mano e provoca un disastro…ma hai toccato un altro tasto cruciale, parlando di complessità che un algoritmo non potrà mai cogliere. Mi sta molto a cuore, visto che da anni indago sulla creatività e il talento italiano, spesso capaci di soluzioni eccentriche nel districarsi in questa complessità. È questo cogliere percorsi e intrecci inediti che ci distinguerà anche in futuro dalle macchine o pensi che l’Intelligenza Artificiale arriverà a sfidarci anche nel campo del Pensiero Laterale?

Catherine Marshall
Ottimo riferimento quello di Fantasia! La scena di Topolino che perde il controllo della magia è un’allegoria perfetta di cosa può succedere quando ci affidiamo a un potere senza comprenderne davvero i limiti.

Sul pensiero laterale e la creatività, la sfida è aperta. L’AI sta già mostrando capacità sorprendenti nella generazione di idee, immagini e testi che possono sembrare originali. Ma è davvero creatività? Io direi di no, almeno non nel senso umano del termine. Un modello di AI può combinare dati esistenti in modi nuovi, può riconoscere schemi nascosti che a noi sfuggono, ma non ha intuizione, esperienza vissuta, emozioni. E soprattutto, non ha una vera capacità di dare senso a ciò che produce.

Il pensiero laterale non è solo trovare soluzioni nuove, ma anche saper riconoscere quelle giuste, quelle che rispondono a un’esigenza reale in un contesto specifico. Ed è qui che il talento umano resta insostituibile. Gli italiani, con la loro capacità di pensare fuori dagli schemi e di trovare soluzioni creative in situazioni complesse, ne sono un esempio perfetto. L’AI può certamente stimolare nuove idee, essere uno strumento per esplorare possibilità che da soli non vedremmo, ma l’intuizione, il colpo di genio, il saper leggere tra le righe della realtà restano qualità umane.

Dove vedo il rischio? Nella tentazione di affidarsi all’AI anche per ciò che dovrebbe restare dominio dell’intelligenza umana. Se smettiamo di allenare il pensiero critico e creativo, se ci abituiamo a soluzioni generate da macchine senza più metterle in discussione, allora sì, potremmo perdere ciò che ci distingue. Ma se usiamo l’AI come amplificatore del nostro talento, allora potremmo entrare in un’era di innovazione senza precedenti. La differenza, come sempre, dipenderà da come scegliamo di usare questa “bacchetta magica”.


Roberto Bonzio
Ci sono stati libri o film che ti hanno emozionato e hanno ispirato il tuo percorso professionale, che consiglieresti di leggere o vedere?

Catherine Marshall
Ci sono stati libri e film che mi hanno lasciato un segno profondo, sia per la loro capacità di raccontare il mondo con lucidità, sia per l’emozione con cui esplorano il rapporto tra tecnologia, società e umanità.

Uno dei libri che mi ha più influenzato è Il secolo breve di Eric Hobsbawm. Non è un testo di giornalismo, ma è un esempio straordinario di come si possa raccontare la complessità della storia con rigore e chiarezza. Hobsbawm riesce a intrecciare economia, politica, cultura e innovazione in un unico quadro, cosa che cerco sempre di fare anch’io nel mio lavoro.

Sul fronte della narrativa, 1984 di George Orwell è una lettura che ogni giornalista dovrebbe affrontare, non solo per il tema del controllo dell’informazione, ma anche per la riflessione sul linguaggio e sul potere delle parole nel modellare la realtà. In modo diverso, anche La verità sul caso Harry Quebert di Joël Dicker mi ha colpita: è un romanzo che parla di indagine, di memoria, di come la verità possa essere manipolata o nascosta sotto strati di narrazione.

Per quanto riguarda il cinema, Tutti gli uomini del presidente è un classico che mi ha fatto capire cosa significhi fare giornalismo d’inchiesta con determinazione e coraggio. Più di recente, The Post con Meryl Streep e Tom Hanks ha raccontato con straordinaria intensità l’importanza della libertà di stampa.

Poi ci sono film di fantascienza che vanno oltre l’intrattenimento e diventano riflessioni profonde sulla tecnologia e l’umanità. Blade Runner è uno di questi: l’idea che la memoria e l’esperienza personale siano ciò che ci rende umani è una lezione fondamentale, soprattutto ora che l’AI sfida le nostre certezze su cosa significhi essere creativi e consapevoli.

Alla fine, quello che mi emoziona davvero sono le storie che aiutano a vedere il mondo in modo nuovo, che siano saggi storici, romanzi, film d’inchiesta o di fantascienza. Perché il vero giornalismo, come la grande narrazione, non si limita a informare: trasforma il modo in cui comprendiamo la realtà.

Roberto Bonzio
E come lo immagini tu, questo mondo nuovo? Ti senti, cosa non facile, di fare previsioni sul nostro futuro?

Catherine Marshall
Fare previsioni sul futuro è sempre rischioso, perché tendiamo a sovrastimare i cambiamenti nel breve termine e a sottovalutarli nel lungo. Ma più che immaginare scenari rigidi, credo sia utile riconoscere le grandi forze che stanno plasmando il nostro mondo e capire dove ci stanno portando.

La tecnologia, e in particolare l’Intelligenza Artificiale, avrà un impatto enorme. Renderà il lavoro più produttivo, abbatterà molte barriere all’accesso alla conoscenza e cambierà interi settori. Ma la domanda vera è: chi ne trarrà vantaggio? Se lasciamo che l’AI sia solo uno strumento di ottimizzazione per le grandi aziende, il rischio è un futuro di crescente disuguaglianza, con pochi che controllano i dati e molti che vedono il loro ruolo ridimensionato. Se invece riusciamo a renderla un’opportunità diffusa, potremmo assistere a un’esplosione di creatività e innovazione mai vista prima.

Il cambiamento climatico è un altro grande punto interrogativo. O troviamo il modo di integrare crescita economica e sostenibilità, o i costi ambientali e sociali diventeranno insostenibili. Qui l’innovazione sarà cruciale, ma servono anche politiche coraggiose, perché la tecnologia da sola non basta.

Sul fronte della società e della politica, vedo due possibili strade. Una è quella della frammentazione: polarizzazione estrema, disinformazione, perdita di fiducia nelle istituzioni. L’altra è quella di una nuova consapevolezza collettiva, in cui le persone tornano a investire nel valore della conoscenza, della comunità, del pensiero critico. Il ruolo dell’informazione sarà decisivo: se il giornalismo saprà reinventarsi, restando indipendente e credibile, potrà essere un argine contro la deriva del caos informativo.

Quindi non so esattamente come sarà il futuro, ma so che non sarà scritto da solo. Sarà il risultato delle scelte che facciamo oggi, di come decidiamo di usare le tecnologie, di come gestiamo il potere dell’informazione. E sarà, inevitabilmente, più complesso di qualsiasi previsione.

Roberto Bonzio
Grazie Catherine. Riflessioni preziose, un vero piacere chiacchierare con te

Catherine Marshall
Grazie a te, è stato un confronto stimolante. Il piacere è stato mio.

Al termine della nostra conversazione, ho avvertito quella sensazione di pienezza che si prova quando un incontro va oltre il semplice scambio di informazioni. Essere intervistata da chi, come me, dedica la propria vita professionale a raccontare storie e idee, ha creato una sorta di specchio in cui ho potuto osservare il mio stesso lavoro sotto una luce nuova.

Ciò che mi ha colpito maggiormente è stata la sua capacità di attraversare temi complessi mantenendo sempre uno sguardo pragmatico ma non cinico, curioso ma non ingenuo. Un equilibrio che rispecchia perfettamente quella curiosità che Roberto descrive come un surf sulla complessità, non per sfuggirla, ma per cavalcarla.

Nel ripensare alle nostre riflessioni sul futuro dell’informazione e sulla necessità di preservare il pensiero critico in un’era di automazione, mi sono resa conto che è proprio in conversazioni come questa che si delinea una possibile risposta alle sfide che ci attendono. Non si tratta di abbracciare ciecamente la tecnologia né di rifiutarla per principio, ma di mantenere viva quella capacità tutta umana di connettere punti apparentemente distanti, di dare significato alle informazioni, di cogliere le sfumature che nessun algoritmo potrà mai completamente afferrare.

La chiacchierata con Roberto Bonzio mi ha ricordato che ho scelto questo mestiere per cercare di comprendere e raccontare il mondo nella sua complessità, con rigore ma anche con quella dose di creatività e intuizione che rende il giornalismo non solo un servizio, ma una forma di conoscenza e, nei suoi momenti migliori, persino di arte. E per questo ringrazio Roberto, per avermi offerto l’opportunità di essere, per una volta, non solo chi racconta, ma anche chi viene raccontato.

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