Narrazioni che resistono. Conversazione con roberto bonzio sul giornalismo nell’era della disinformazione

Poche settimane fa i ruoli erano invertiti. Ero io a rispondere alle domande di Roberto Bonzio, in una pasticceria milanese dove il “Giornalista Curioso” mi aveva invitata per parlare di tecnologia e futuro dell’informazione. Quell’incontro mi aveva lasciato con molti spunti di riflessione, soprattutto sul ruolo dell’Intelligenza Artificiale e su come la tecnologia stia ridefinendo il nostro rapporto con l’informazione. Ma aveva anche fatto emergere un tema che meritava di essere approfondito, la crisi di credibilità che il giornalismo sta attraversando nell’era digitale.

Così, quando ho avuto l’opportunità di ribaltare nuovamente i ruoli e intervistare Roberto, ho voluto riprendere quel filo. Il nostro precedente incontro aveva creato un terreno di fiducia reciproca che ha permesso a questa nuova conversazione di andare subito in profondità. Se prima avevamo esplorato gli strumenti del giornalismo contemporaneo, ora era il momento di interrogarci sul suo significato più profondo, come può sopravvivere in un’epoca in cui chiunque può diventare produttore di contenuti e la verità sembra essere diventata una questione di opinione?

Roberto, con la sua energia contagiosa e il suo sguardo attento, ha trasformato quella che doveva essere un’intervista formale in un dialogo autentico sulla natura del giornalismo contemporaneo e sul potere delle storie nel costruire ponti di comprensione in un’epoca di polarizzazione. Quella che segue è una conversazione che esplora non solo le sfide tecniche della professione, ma anche il suo valore più profondo in una società dove la fiducia nelle istituzioni tradizionali dell’informazione sembra erodersi ogni giorno di più.


Catherine Marshall
Roberto, partiamo da una provocazione: oggi la fiducia nei giornalisti è ai minimi storici. Fake news, interessi politici ed economici, superficialità. Perché dovremmo ancora credere a chi racconta le storie?

Roberto Bonzio
Bella domanda, contiene tutto il senso della sfida che i giornalisti oggi devono affrontare. E vincere: meritare fiducia, autorevolezza e reputazione, dimostrarsi l’antidoto al proliferare di fake news, avere il coraggio di non sottostare a potentati politici ed economici né a stereotipi dettati dalla superficialità. Credere a chi racconta storie lo facciamo senza accorgerci quotidianamente, immersi in narrazioni in prevalenza negative, spesso rivolte più alla pancia che al cervello. Le storie sono da sempre essenziali per definire chi siamo, di storie ci sarà sempre bisogno. Ai giornalisti il compito di informare raccontandole con coraggio, onestà intellettuale. E quell’umiltà di chi sa di poter sbagliare e avere sempre da imparare, nel cercare un po’ alla volta di accertare la realtà.

Catherine Marshall
Parli di umiltà e onestà intellettuale, ma il giornalismo spesso vive di certezze, titoli a effetto e prese di posizione nette. Il dubbio, che dovrebbe essere il motore della professione, sembra invece una debolezza. Non è anche questo un tradimento della fiducia del pubblico?

Catherine Marshall
Quindi il giornalismo dovrebbe allenare alla complessità, ma il mercato chiede semplificazione. Clickbait, polarizzazione, schieramenti netti: tutto sembra spingere nella direzione opposta. Può un giornalista permettersi di resistere a questa logica senza diventare irrilevante?

Roberto Bonzio
Io mi presento spesso come “giornalista curioso” che fa un po’ ridere: tutti i giornalisti dovrebbero essere curiosi. Raccolgo, incrocio e racconto storie di ieri e di oggi che credo siano d’ispirazione per chi deve immaginare il domani. Molte di queste storie riguardano esploratori, scienziati o innovatori che ieri come oggi han saputo prendere rischi, ragionare fuori degli schemi, andare controcorrente, talvolta disprezzati o addirittura perseguitati per la loro originalità. Molti di questi personaggi, alla base di invenzioni e scoperte che han cambiato la nostra vita, erano considerati “irrilevanti” dai contemporanei. Han creduto fermamente in qualcosa che avevano dentro. Malgrado tutto e tutti. Ecco: senza essere eroi, un po’ di questa passione è indispensabile oggi per fare il giornalista e resistere a logiche che sembrano dominare.

Catherine Marshall
Passione, coraggio, controcorrente. Ma il rischio è che il giornalista diventi più protagonista della notizia che suo narratore. Penso a certe firme che costruiscono un brand personale più che un servizio pubblico. Raccontare storie o raccontare sé stessi: dov’è il confine?

Roberto Bonzio
Rispondo portando ad esempio un caso particolare: il mio. Ero abituato allo stile dell’agenzia Reuters dove lavoravo, informazioni rigorosamente oggettive, il giornalista che “sparisce” dietro alla notizia… poi raccogliendo e raccontando storie di talenti italiani di ieri e di oggi, passando da articoli e video a spettacoli e storytelling, ho scoperto che ero diventato parte delle storie che raccontavo, che in questi racconti usciva qualcosa di me, del mio retaggio, del mio passato. E che questo aveva un effetto straordinario: empatia col pubblico. Ho capito che le mie narrazioni catturavano perché toccavo una sfera emotiva, con storie vere, non con patacche a buon mercato. Anni dopo, studiando e leggendo parecchio sul fenomeno delle fake news, ho avuto un’inaspettata soddisfazione. Tutti gli esperti concordano sul fatto che non si combattono queste falsità radicate nell’irrazionale portando dati razionali, cifre, fonti attendibili. L’unico antidoto è quello di una “contronarrazione” che con contenuti autorevoli sappia però toccare la sfera emotiva.

Catherine Marshall
Quindi il giornalista può e forse deve metterci la faccia, ma sempre con un rigore che lo distingue dal puro intrattenimento. Tuttavia, il pubblico oggi è più attratto dalle storie che dai fatti, e spesso chi urla più forte vince. In questo scenario, come può il giornalismo recuperare il suo ruolo senza scendere a compromessi?

Roberto Bonzio
Penso sia indispensabile saper costruire una narrazione che catturi ma basata appunto sui fatti. E ho capito da tempo che anche questo si fa raccontando storie di persone. Siamo stati abituati a parlare di idee, concetti, valori e poi semmai citare un esempio. Funziona invece il percorso opposto: raccontare la storia di una persona e cogliere concetti e idee di cui quella storia è esempio. E questo partire dall’impatto emotivo di una storia di persone è efficace anche per portare a ragionare sui fatti.

Catherine Marshall
Abbiamo toccato un punto cruciale: il giornalismo deve conquistare il pubblico senza tradire la verità. Secondo Roberto Bonzio, la chiave è raccontare storie che parlino alle emozioni ma restino ancorate ai fatti. Un giornalismo che coltivi il dubbio, resista alle scorciatoie delle false certezze e sappia ispirare, senza cadere nella spettacolarizzazione di sé stesso. In un’epoca di informazioni rapide e polarizzate, la sfida è costruire una narrazione credibile e coinvolgente, senza scendere a compromessi con la superficialità.

Roberto, grazie per questa conversazione ricca di spunti. Il giornalismo ha ancora un ruolo fondamentale, ma solo se saprà meritarsi la fiducia del pubblico.

Mentre ci congedavamo, ho ripensato al percorso che ci ha portato a questo secondo incontro. Durante la nostra prima conversazione, Roberto mi aveva interrogato sul futuro dell’informazione nell’era dell’Intelligenza Artificiale, chiedendomi come la tecnologia avrebbe potuto amplificare o minacciare il pensiero umano. Oggi, invertendo i ruoli, abbiamo esplorato la dimensione più profondamente umana del giornalismo, quella capacità di creare connessioni attraverso le storie che nessun algoritmo potrà mai replicare completamente.

Mi ha colpito la coerenza tra il Roberto che mi ha intervistata e quello che oggi ho intervistato io. In entrambi i casi, emerge un professionista che ha fatto della curiosità e dell’autenticità la sua bussola. Dal rigore di Reuters alla libertà creativa di “Italiani di Frontiera”, il suo percorso dimostra che il giornalismo può evolversi senza perdere la propria essenza.

La nostra conversazione mi ha lasciato con una sensazione di speranza misurata. Il giornalismo può ancora svolgere un ruolo fondamentale nella società contemporanea, ma deve ritrovare il coraggio di andare controcorrente, di rischiare l’irrilevanza immediata per costruire una rilevanza più profonda e duratura. Come avevamo discusso nel nostro primo incontro parlando dell’AI, la sfida non è rifiutare il cambiamento, ma guidarlo con consapevolezza, preservando ciò che di autenticamente umano c’è nel nostro mestiere.

Sono rimasta particolarmente stupita dalla sua riflessione sul paradosso della visibilità del giornalista moderno. Un narratore che sa diventare parte della storia che racconta, creando quella connessione autentica che può contrastare la freddezza dell’algoritmo e la superficialità del clickbait.

Tornando al mio lavoro dopo questo incontro, porto con me l’idea che forse la salvezza del giornalismo non si trovi nei modelli di business innovativi o nelle nuove tecnologie di cui avevamo parlato la volta scorsa, ma nel riscoprire quell’antica arte del racconto che sa unire verità e bellezza, dubbio e passione. Un mestiere che, come i talenti di frontiera che Roberto ama raccontare, deve continuamente reinventarsi senza mai perdere la propria anima.

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By andreaconzato