Traghettatori o innovatori? L’Italia davanti al bivio tecnologico

Lorenzo Cappannari

Lorenzo Cappannari è CEO e co-fondatore di AnotheReality, startup milanese specializzata in soluzioni di realtà virtuale e aumentata per business e formazione. Autore del libro “Futuri possibili” sul metaverso e riconosciuto TEDx speaker, è considerato uno dei principali esperti italiani di tecnologie immersive e trasformazione digitale.

Intervista a Lorenzo Cappannari – C’è un momento, nel panorama tecnologico contemporaneo, in cui le certezze vacillano. Il 95% dei top manager mondiale considera urgente adottare AI e tecnologie immersive, ma solo il 9% ci riesce davvero. Numeri che raccontano una verità scomoda: l’innovazione corre più veloce della nostra capacità di assorbirla.

In questo scenario, ho voluto confrontarmi con Lorenzo Cappannari, che guida una delle realtà italiane più avanzate nel settore delle tecnologie immersive. Non per cercare rassicurazioni, ma per mettere sotto pressione le convinzioni che reggono l’imprenditoria italiana di fronte alla rivoluzione digitale.

La domanda che mi tormentava era brutale: quando il cambiamento tecnologico supera la capacità di adattamento del mercato, l’imprenditore italiano cosa fa? Accelera o frena? E soprattutto, se frena, chi guida davvero il cambiamento?

La risposta di Lorenzo è stata disarmante nella sua onestà: l’imprenditore frena, si adatta, segue le regole tradizionali del mercato. Una confessione che apre scenari inquietanti per un Paese che vuole contare nell’economia globale.Quello che segue è un dialogo senza sconti sui limiti strutturali dell’Italia tecnologica, ma anche sulle sue possibili leve di riscatto. Perché tra l’essere traghettatori dell’innovazione altrui e l’irrilevanza totale, c’è uno spazio che vale la pena esplorare.


Catherine Marshall
Perfetto Lorenzo, cominciamo. Nel 2023, una ricerca di Accenture ha rivelato che il 95% dei top manager ritiene urgente adottare tecnologie come AI e ambienti immersivi, ma solo il 9% le integra con successo nel proprio modello operativo. Il ritmo dell’innovazione è chiaramente fuori sincrono con le capacità di adattamento organizzative. Tu guidi una delle realtà italiane più avanzate nel settore delle tecnologie immersive. Quando la velocità del cambiamento tecnologico supera la capacità di assorbimento del mercato e delle imprese, l’imprenditore che fa: accelera ancora, o frena?

Lorenzo Cappannari
L’imprenditore deve realizzare prodotti e soluzioni che vendono al mercato. Nel momento in cui il mercato non assorbe, significa che si è sbagliato qualcosa, indipendentemente dalla tecnologia che si utilizza. Quindi l’imprenditore, dal mio punto di vista, risponde comunque alle regole del mercato più tradizionali: si adatta al mercato che trova e frena.

Catherine Marshall
Se l’imprenditore frena, chi guida davvero il cambiamento? Nel 2024, OpenAI ha rilasciato Sora, un modello in grado di generare video realistici da prompt testuali. In meno di tre mesi, agenzie pubblicitarie come Publicis e WPP hanno già strutturato servizi su questa tecnologia, anticipando la domanda del mercato prima ancora che si concretizzasse. Non c’è il rischio che l’imprenditore italiano, attendista e legato alla domanda esistente, diventi irrilevante in un’economia guidata da chi crea nuove esigenze, non da chi le segue?

Lorenzo Cappannari
La ricerca segue sempre anche la direzione degli investimenti. Occorre saper puntare su prodotti capaci di risolvere esigenze di mercato chiare, ma anche avere la forza di sostenere tecnologie a lungo termine. Su questo secondo fronte l’Italia, oggi, non ha le risorse: è un terreno dominato dalle big tech e da alcuni stati nazionali. Per questo, come imprenditori, siamo chiamati ad adattarci. La nostra ricerca deve concentrarsi su prodotti con ricadute immediate e concrete, e se il mercato non risponde, serve la prontezza di cambiare rotta e sviluppare altro.

Catherine Marshall
Ma questa visione non rischia di relegare l’impresa italiana al ruolo di esecutore più che innovatore? Negli anni ’80, il Giappone ha costruito la sua leadership tecnologica anticipando bisogni inespressi: Sony con il Walkman, ad esempio, non rispondeva a una domanda già presente, la creava. Oggi, aziende come Humane o Rabbit rilanciano questo paradigma, investendo in dispositivi post-smartphone mentre il mercato è ancora dominato dai telefoni. Se l’Italia resta aggrappata solo all’esistente, come può aspirare a essere protagonista e non solo fornitore nel nuovo ecosistema tecnologico?

L’Italia ha un ruolo possibile e riconoscibile nelle sue competenze storiche: il design, la moda, la capacità di dare forma e senso alle cose. Non potremo mai competere sul piano degli investimenti con paesi che hanno risorse esponenzialmente superiori, ma possiamo rendere le nuove tecnologie comprensibili, desiderabili e parte della vita quotidiana.Il nostro contributo non è quello di inventare da zero, ma di traghettare l’innovazione verso il mercato, di farle incontrare le esigenze più sottili dei consumatori. In un contesto in cui la percezione e il posizionamento contano quanto la funzione, l’Italia può fare la differenza. Non saremo i pionieri assoluti, ma possiamo essere il ponte che porta l’innovazione dentro le case e le abitudini delle persone comuni.

Catherine Marshall
Allora siamo dei traghettatori, ma chi stabilisce la rotta? Nel 2024, il primo visore Apple Vision Pro è stato presentato con un design quasi museale, distante dall’estetica gamer dominante. Un chiaro segnale: l’interfaccia e l’immaginario contano quanto la potenza tecnologica. Ma se il design italiano non entra nella stanza dei bottoni dove si decide cosa viene costruito, e resta confinato alla fase decorativa finale, non rischia di essere solo un maquillage su tecnologie pensate altrove? Dove si colloca, concretamente, la leva del design italiano nel definire—non solo umanizzare—l’innovazione?

Lorenzo Cappannari
Non è corretto dire che siamo esclusi dai tavoli che contano. Meta, per esempio, ha scelto Luxottica per sviluppare i Ray-Ban Meta, un prodotto che unisce tecnologia e indossabilità. Luxottica sarà pure un colosso globale, ma resta un colosso globale italiano.

Catherine Marshall
Sì, Luxottica è un colosso italiano. Ma è un’eccezione che conferma la regola o l’inizio di un modello? Ray-Ban Meta dimostra che l’estetica conta eccome nella diffusione di una nuova tecnologia. Ma il design italiano non può limitarsi a “vestire” un’idea altrui. Se il nostro contributo è solo posteriore all’innovazione, ci condanniamo a una posizione ancillare nel gioco dell’evoluzione tecnologica. Perché oggi, nel panorama delle startup immersive, non emergono realtà italiane che mettono il design al centro fin dall’ideazione tecnologica? Cos’è che impedisce al nostro design di diventare infrastruttura e non solo superficie?

Lorenzo Cappannari
In Italia non c’è una vera industria dell’hardware. Nel campo delle tecnologie immersive il nostro ruolo rimane quello di sviluppatori di applicazioni e software che girano su dispositivi costruiti altrove. È lo stesso con Luxottica, che riveste con il design una tecnologia prodotta da altri. Il problema è che spesso quella tecnologia non è davvero “vestibile” e non trova uno spazio d’uso concreto, soprattutto nello spatial computing. E allora la domanda diventa: ha più valore costruire un oggetto straordinario che nessuno utilizza, oppure renderlo desiderabile e parte della vita delle persone?

Catherine Marshall
L’ultima provocazione è chiara: un capolavoro tecnico senza adozione è sterile. Ma l’adozione è anche una questione di potere, e il potere tecnologico si costruisce. In questa conversazione hai disegnato l’identikit di un imprenditore che legge il mercato, si adatta, migliora ciò che già esiste. Un modello pragmatico, forse inevitabile nel contesto italiano. Ma intanto, altrove, si definiscono le regole del gioco. Non dal basso, ma dall’alto. Non adattandosi, ma imponendo.

Grazie Lorenzo per il tuo tempo e per aver messo sul tavolo con lucidità le tensioni che ogni imprenditore tecnologico vive oggi.
Hai chiarito come la velocità dell’innovazione obblighi a scelte strategiche precise: tra rincorrere l’hardware altrui o umanizzarlo con le nostre eccellenze.
Hai ribadito il ruolo chiave del design italiano come ponte tra tecnologia e vita quotidiana.
E hai offerto una prospettiva concreta su come navigare, senza illusioni ma con ambizione, in un ecosistema globale dominato da giganti.
Una sfida aperta, in cui l’Italia può ancora dire la sua—ma solo se decide non solo come traghettare il futuro, ma anche dove farlo approdare


Chiudo questa conversazione con Lorenzo portandomi dietro una sensazione contraddittoria. Da un lato, l’onestà intellettuale di chi non si nasconde dietro retoriche consolatorie sull’eccellenza italiana. Dall’altro, l’amarezza di un Paese che sembra aver accettato un ruolo ancillare nel grande gioco dell’innovazione tecnologica.

Ha disegnato l’identikit di un imprenditore pragmatico: legge il mercato, si adatta, migliora ciò che esiste già. Un modello forse inevitabile nel contesto italiano, ma che lascia aperti interrogativi profondi. Mentre noi ci adattiamo, altri definiscono le regole del gioco. Non dal basso, ma dall’alto. Non seguendo il mercato, ma creandolo.

Il caso Ray-Ban Meta che Lorenzo ha citato è emblematico. Luxottica veste la tecnologia di Meta, la rende desiderabile, ma resta comunque nel ruolo di esecutore di una visione altrui. È questo il destino dell’Italia tecnologica? Essere il sarto elegante di idee pensate in Silicon Valley?

La risposta di Cappannari è stata chiara; meglio essere traghettatori eccellenti che innovatori falliti. Una posizione difendibile, ma che mi lascia con una domanda finale: se accettiamo di essere solo traghettatori, chi stabilisce dove far approdare il futuro?

L’Italia ha ancora tutte le carte per giocare un ruolo da protagonista nell’economia digitale. Ma solo se smette di accontentarsi di vestire bene le idee altrui e inizia a pensare che il design può essere infrastruttura, non solo superficie. Solo se capisce che traghettare il futuro significa anche decidere dove farlo approdare. Il tempo delle illusioni è finito. È ora di scegliere se vogliamo essere complici consapevoli della nostra marginalità o architetti del nostro riscatto tecnologico.

Add comment

By andreaconzato