Claudia Zarabara
Claudia Zarabara è un’esperta italiana di marketing digitale, consulente aziendale e docente presso l’Università di Padova. Si distingue per un approccio equilibrato verso l’intelligenza artificiale, valorizzando la complementarità tra tecnologia e creatività umana.
Intervista a Claudia Zarabara – Ho incontrato Claudia Zarabara, esperta di marketing digitale e consulente per l’integrazione dell’intelligenza artificiale nelle aziende, per affrontare una contraddizione che mi ossessiona da mesi: l’Italia parla di rivoluzione digitale, ma solo il 20% delle imprese ha formato il proprio personale sull’IA. Mentre i colossi internazionali ridisegnano intere catene del valore, le nostre PMI sembrano bloccate in una sorta di limbo tecnologico. Claudia, con trent’anni di esperienza nel settore e una prospettiva privilegiata sui processi di trasformazione aziendale, ha accettato di raccontarmi cosa succede davvero quando l’innovazione incontra la realtà operativa delle piccole e medie imprese italiane.
Catherine Marshall
Claudia, partiamo dal nodo culturale. Nonostante l’esplosione dell’IA generativa, in Italia solo il 20% delle aziende ha formato il proprio personale sull’intelligenza artificiale. Cosa blocca davvero le imprese dal compiere questo salto? Disinformazione, paura di perdere controllo, o semplice inerzia burocratica?
Claudia Zarabara
Un mix di cose differenti: la “non conoscenza” sicuramente (ho spesso in aula qualche complottista con visioni apocalittiche dello strumento), la difficoltà di inserire questi strumenti all’interno della “routine aziendale”. Si intravedono le potenzialità ma si teme di dover ridisegnare i ruoli aziendali, ripensare la struttura dell’azienda etc., e il timore di venire “sostituiti” dalla tecnologia, almeno per quello che riguarda certe mansioni. Ultimamente trovo sempre più aziende “mature”, consapevoli dei vantaggi dell’IA ma molto timorosi sulla parte di gestione dati, privacy etc. Spesso mi chiedono di aiutarli a scrivere una policy interna per i collaboratori che usano l’IA.
Catherine Marshall
Allora mettiamola così: l’innovazione tecnologica richiede un cambio di pelle, ma molte aziende italiane sembrano più interessate a cambiare solo il cappotto. Hai parlato della difficoltà a integrare l’IA nella routine aziendale. Ma non è un paradosso che proprio chi opera nel marketing – un settore che vive di cambiamento – sia così restio a ridisegnare ruoli e processi? Non è un sintomo di un settore che parla di innovazione ma agisce per conservazione?
Claudia Zarabara
In realtà non c’è nulla di nuovo per quello che riguarda la “reazione” del marketing al cambiamento. Ho cominciato a fare consulenza su marketing digitale quando eravamo agli albori di questo mondo (1994) e la reazione delle aziende era sempre la stessa: aspettare. Raramente ho trovato PMI capaci di cogliere le opportunità offerte dal digitale in maniera rapida. E con l’IA è lo stesso. Mi trovo spesso di fronte piattaforme avanzatissime, con IA integrata (penso soprattutto alle aziende che operano in ambito turistico, come gli hotel) che raccolgono una mole di dati esagerata e potrebbero fare ogni sorta di “magia”, usate a livelli bassissimi. Analizzare i dati, ricevere input chiari su come modificare l’offerta richiederebbe poi… cambiare l’offerta. E qui ci piantiamo. C’è la consapevolezza che con l’IA si possano fare molte cose, ma rendere poi queste cose delle azioni concrete richiede molti sforzi e, spesso, si preferisce rimanere sui propri binari.
Catherine Marshall
Quindi il problema non è la tecnologia, ma il coraggio. Usiamo l’IA per fare dashboard patinate e report che nessuno legge, ma ci fermiamo davanti al cambiamento operativo. Hai citato il turismo, settore dove l’IA può ottimizzare prezzi, esperienze, persino la gestione del personale. Ma se gli hotel non cambiano le proprie offerte, che senso ha raccogliere i dati? L’IA in questo contesto non rischia di diventare l’ennesimo feticcio tecnologico, utile solo a giustificare budget e non risultati?
Claudia Zarabara
Credo che l’ambito turistico sia il comparto più reattivo di fronte all’impiego di nuove tecnologie. D’altronde è uno dei primi settori che ha sfruttato il digitale, visto che arricchiva un’esperienza di vendita già collaudata: la vendita a distanza. Tuttavia, spesso, gli hotel sono guidati da una sola persona che fa, praticamente tutto. Si fa aiutare dalle piattaforme fin dove riesce ad avere un beneficio immediato della cosa (i software che gestiscono pricing dinamico con IA sono sfruttatissimi). Ma fare il passo in più richiede davvero sforzi umani non percorribili. Raramente la struttura alberghiera si appoggia ad un consulente esterno che possa aiutarli nel fare strategia, nello sviluppare percorsi data driven. Qualche mese fa ad un convegno a Caorle su questi temi qualcuno mi ha avvicinato e mi ha detto sconsolato “Tutto interessante, ma dobbiamo anche fare gli albergatori”. Come si dice, one man show. Aggiungo che alle volte, progetti di questo tipo, prendono vita grazie a finanziamenti vari. In questo caso, allora, si investe per migliorare l’offerta.
Catherine Marshall
Paradossalmente, il settore più digitalizzato è quindi anche quello più solo. One man show, strumenti avanzati, ma mancano le competenze per orchestrare tutto. Non è un caso isolato: secondo uno studio recente di Doxa e Osservatori Digital Innovation, solo il 13% delle PMI italiane ha una strategia di marketing digitale realmente integrata. Si naviga a vista, affidandosi ai finanziamenti come ancora di salvezza. Ma se la strategia arriva solo quando c’è un bando pubblico, la domanda è inevitabile: chi guida davvero l’innovazione? Le imprese o i fondi europei? Stiamo costruendo un ecosistema che cresce solo a spinta?
Claudia Zarabara
Dipende dai settori. Il turismo gode spesso di finanziamenti di varia natura il che rallenta molto l’evoluzione, l’aggiornamento delle aziende… che attendono il finanziamento per dare il via al processo. Tuttavia, ultimamente ci sono molti bandi che chiedono di sviluppare progetti innovativi, guidati da IA etc. Se è vero che i finanziamenti trainano l’innovazione, è anche vero che i bandi tentano di rispondere ai bisogni delle aziende fornendo soluzioni innovative. Ovviamente, non tutto il settore e non tutte le aziende si comportano allo stesso modo. Ci sono spesso aziende dinamiche, curiose, che colgono il mutamento, capiscono che ci sono delle opportunità e si muovono in autonomia nel coglierle.
Catherine Marshall
Hai citato un punto interessante: le aziende curiose. Quelle che non aspettano bandi, ma sperimentano. Però restano l’eccezione. E qui c’è un nodo cruciale: formazione. Il Digital Economy and Society Index (DESI) 2023 piazza l’Italia al penultimo posto in Europa per competenze digitali. Come si può parlare di trasformazione, se mancano le basi? Chi dovrebbe guidare questa rivoluzione nelle aziende: il reparto marketing, l’HR, o serve una nuova figura? Chi dovrebbe essere il vero “evangelista dell’IA” dentro le PMI?
Claudia Zarabara
Non sono in grado di rispondere a questa domanda, tuttavia ti posso rispondere con riferimento alla mia esperienza di consulente e formatore. Il primo approccio con l’azienda è sempre la formazione. Il settore X chiede all’HR della formazione su IA. Dopo questa fase di “alfabetizzazione”, tipicamente, l’HR replica/estende la formazione ad altri comparti aziendali. A seguire, spesso, c’è un follow up aperto a tutti e da lì, alle volte, nascono delle proposte di consulenza. Si matura e si comprende che l’IA può davvero essere un aiuto… lo si annusa e si chiede al consulente di aiutarli in questa fase. Al momento mi trovo in questa fase. Per mia forma mentis, credo che il processo, iniziato con un consulente esterno, debba poi fare leva su una risorsa interna debitamente formata. Su chi debba essere questa figura… ci sto ancora ragionando.
Catherine Marshall
Ecco il punto: stiamo ancora “ragionando” su chi debba guidare la trasformazione. È come costruire un ponte senza sapere chi dovrà attraversarlo. E intanto, i big player si muovono. Amazon ha integrato l’IA nel marketing per segmentazioni predittive, Netflix la usa per personalizzare le esperienze utente in tempo reale. Loro non aspettano. Le PMI sì. Ultima domanda: l’IA sta riscrivendo le regole del gioco, ma può anche accentuare il divario tra chi ha risorse e chi no. Se le PMI continuano ad arrancare, non rischiamo un’oligarchia tecnologica in cui solo pochi – già forti – riescono a competere davvero nel marketing del futuro?
Claudia Zarabara
No, io credo, anzi, che con il passare del tempo l’intelligenza artificiale sarà quasi… Credo che con il passare del tempo l’IA sarà “democratica”, diffusa a molti e quasi “invisibile”. Immagino un’IA integrata quasi ovunque… che, forse, darà più valore al “fatto dall’uomo”!
Catherine Marshall
Un’IA che scompare perché è ovunque. E proprio per questo, restituisce centralità a ciò che l’algoritmo non può replicare: intuizione, empatia, imperfezione. È una visione potente, quasi provocatoria. In fondo, ogni grande ondata tecnologica — dalla stampa alla fotografia — ha finito per ridefinire e rilanciare il valore dell’opera umana, non cancellarla. Se sarà davvero “democratica”, dipenderà da chi la sviluppa, da chi la regola e da chi la utilizza. E, come hai detto, da chi ha il coraggio di formarsi, sperimentare, guidare il cambiamento dall’interno.
Grazie, Claudia, per il tuo tempo e per la lucidità con cui hai affrontato ogni nodo. Abbiamo toccato il cuore di una contraddizione strutturale: tecnologie potenti, ma aziende spesso troppo lente, troppo sole o troppo dipendenti da fondi esterni per trasformarle in strumenti reali di crescita. Hai descritto un ecosistema dove l’innovazione si muove a due velocità: quella rapida di chi sperimenta, e quella impantanata di chi aspetta. La tua esperienza mostra chiaramente che senza formazione diffusa, senza una figura interna capace di guidare il cambiamento, l’IA rischia di restare una promessa a metà. E la tua visione finale di un’IA “democratica” che restituisce valore al fattore umano aggiunge una prospettiva davvero interessante al quadro. Grazie ancora per aver condiviso con noi non solo la tua esperienza, ma anche le sfide quotidiane che affronti sul campo.
Questa conversazione con Claudia Zarabara lascia emergere una fotografia impietosa ma lucida del panorama italiano. Abbiamo un ecosistema dove convivono strumenti all’avanguardia e mentalità ancora troppo ancorate al passato, dove l’innovazione si muove a due velocità: quella di chi sperimenta e quella di chi aspetta i finanziamenti per muoversi.
La sua esperienza sul campo rivela una verità scomoda. Non è la tecnologia il vero ostacolo, ma la mancanza di coraggio nell’affrontare il cambiamento strutturale che l’IA richiede. Troppo spesso ci accontentiamo di dashboard patinate invece di ripensare i processi, investiamo in strumenti sofisticati ma ci fermiamo davanti alla necessità di formare, guidare, trasformare dall’interno.
Eppure, la visione finale di Claudia – un’IA “democratica” che restituisce valore al fattore umano – apre uno squarcio di ottimismo. Se riusciremo a superare questa fase di transizione, se le aziende troveranno il coraggio di formarsi e sperimentare, potremmo assistere a una rivoluzione che non cancella l’elemento umano, ma lo rilancia con forza rinnovata.
Il tempo però stringe. Mentre noi “ragioniamo ancora” su chi debba guidare la trasformazione, altri mercati corrono. E la domanda che resta aperta è sempre la stessa: vogliamo essere protagonisti di questo cambiamento o semplici spettatori?